Qual è la differenza tra licenziamento discriminatorio e ritorsivo? Un interrogativo a cui ha risposto il Tribunale del Lavoro di Roma con la Sentenza del 14 luglio 2014. Nello specifico il caso preso in esame riguarda un licenziamento impugnato da un dirigente medico, ai sensi della legge 92/2012 (meglio nota come Legge Fornero).
Il medico aveva presentato un’opposizione all’ordinanza, emessa dal Tribunale di Roma nel giungo del 2013, che vedeva rigettato il ricorso da lui proposto per ottenere l’accertamento della nullità del licenziamento. L’anno precedente il dottore era stato licenziato dall’Ospedale dove prestava servizio, per fatti che sarebbero stati inesistenti. Il dipendente chiedeva dunque il reintegro sul posto di lavoro e un indennizzo a fronte del licenziamento discriminatorio subito.
Il tribunale ha però ritenuto superfluo condurre un ulteriore attività di istruttoria e ha rigettato l’istanza avanzata dal medico. Il Giudice ha stabilito inoltre che il licenziamento perpetrato dall’ospedale non aveva elementi di discriminatorietà, precisando che le prospettazioni contenute negli atti introduttivi delle due fasi del giudizio afferiscono, ad un licenziamento per ritorsione piuttosto che ad una discriminazione.
Ma qual è la differenza? Il licenziamento discriminatorio si configura come un vulnus all’identità del lavoratore, che viene penalizzato per la sua appartenenza ad un determinato gruppo religioso, etnico, linguistico, per ragioni politiche, sessiste, razziste, ecc. In caso di provato licenziamento discriminatorio, il datore di lavoro è soggetto a sanzioni e è tenuto a risarcire e reintegrare il dipendente.
Il licenziamento per ritorsione invece è nullo solo se il motivo ritorsivo è l’unico fattore ad aver portato al recesso unilaterale del contratto di lavoro da parte del datore. Tale licenziamento costituisce, infatti, un’ingiusta ed arbitraria reazione un comportamento legittimo tenuto dal lavoratore o da un’altra persona a lui legata (figlio, moglie, ecc.), configurandosi come una vera e propria vendetta nei confronti del dipendente.
Anche in questo caso è fondamentale dimostrare che l’unico motivo alla base del licenziamento è ritorsivo. Compito che spetta al dipendente licenziato, su cui grava l’onere della prova. Il lavoratore deve quindi indicare specificatamente le circostanze di fatto da cui dovrebbe si desumere il carattere ritorsivo del licenziamento rispetto ad una condotta legittima da lui tenuta.
Nella fattispecie del caso esaminato dal tribunale romano, per quanto si legge nella motivazione della sentenza, il medico ricorrente non ha indicato le circostanze di tempo e luogo in cui avrebbe suscitato la volontà di vendetta dell’ospedale. Il carattere ritorsivo del licenziamento va infine escluso in ragione del fatto che il medico ha ammesso di aver compiuto i fatti indicati nella contestazione disciplinare a suo carico.