Di recente la Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema del licenziamento illegittimo per sproporzione della pena. Con la sentenza n. 8928 del 5 maggio, infatti, la Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un dipendente che si è allontanato dal posto di lavoro per assistere la madre.
In principio, il lavoratore aveva presentato all’azienda un’istanza ex legge 53/2000 per ottenere delle giornate di permesso in cui si sarebbe preso cura della madre malata. Richiesta che però la ditta datrice di lavoro ha rifiutato a causa di un’irregolarità della domanda.
Il lavoratore non avrebbe infatti tenuto conto che nella circostanza indicata, il contratto collettivo di riferimento qualificava tali permessi come non retribuiti. Un elemento che non corrispondeva a quanto richiesto. Nonostante il diniego dell’impresa, il dipendente si è comunque assentano dal lavoro.
In sede di giudizio, la Suprema Corte ha respinto il ricorso avanzato dall’azienda e ha avallato il ragionamento interpretativo operato dalla Corte di merito, che aveva definito il licenziamento illegittimo per sproporzione della pena.
La corte ha infatti rilevato che il principio di prevalenza della sostanza sulla forma impone al giudice di prendere in considerazione l’esistenza di eventuali soluzioni alternative a quella adottata dal datore di lavoro. Data questa considerazione, la Corte ha ritenuto palese che il datore di lavoro potesse risolvere la situazione attraverso l’applicazione di provvedimenti alternativi al licenziamento individuale.
Nella sentenza si legge, infatti, che la vicenda avrebbe potuto “rivenire agevole e rapida soluzione” nel caso in cui la società, invece di “insistere nel pretendere dal lavoratore l’invio dell’istanza adeguata all’istituto cui intendeva fruire”, gli avesse concesso i permessi richiesti accompagnando la domanda con un documento in cui si precisava che l’istituto “non avrebbe dato corso al pagamento della retribuzione per il relativo periodo”.