Il licenziamento disciplinare si verifica in seguito a una scorretta condotta del lavoratore, talmente grave da compromettere il vincolo fiduciario che si è instaurato con il datore di lavoro. Questa particolare tipologia di licenziamento si distingue in due categorie: per giusta causa e per giustificato motivo.
Si parla di giusta causa quando la mancanza commessa dal dipendente è talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro nemmeno per il cosiddetto periodo di preavviso, prevedendo quindi il licenziamento in tronco.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo invece si manifesta un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, ma che, a differenza delle giusta causa, prevede il rispetto del preavviso. Tra le motivazioni che possono condurre il datore di lavoro alla recessione dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo troviamo l’assenza ingiustificata.
È bene precisare che nei licenziamenti disciplinari l’onere della prova è a carico dell’azienda, mentre il dipendente ha la possibilità di giustificare il proprio comportamento e le eventuali connessioni a cause non legate alla propria volontà. Questo quanto ribadito dalla sentenza 7108/2014 della Corte di Cassazione, che è intervenuta per fare chiarezza circa i casi di illegittimo licenziamento per assenza ingiustificata.
Nel caso di specie un’azienda ha fatto ricorso alla Cassazione contestando la violazione dell’art. 5 della legge 604/1966 sui licenziamenti individuali. L’impresa lamentava inoltre la mancata considerazione da parte del Tribunale competente delle assenze ingiustificate che il lavoratore non era stato capace di giustificare. Mancanze che però non erano state dimostrate se non attraverso l’indicazione dell’azienda nell’atto di contestazione disciplinare.
Un’ampia giurisprudenza ha spiegato che l’assenza ingiustificata dal posto di lavoro può essere causa di licenziamento solo se si tiene conto del principio di proporzionalità. La valutazione del mancato adempimento dovrà quindi essere commisurata alle mansioni svolte dal lavoratore e alle conseguenze della sua assenza sulle attività aziendali.
È necessario inoltre considerare la gravità di quanto commesso e se tale fatto sia effettivamente stato intenzionale. A tal proposito, nel disporre la sanzione, l’azienda deve tenere conto della proporzionalità tra i fatti contestati e la pena applicata. Quest’ultima potrà tradursi nel licenziamento solo se, in seguito alle mancanze contestate, viene meno il rapporto di fiducia tipico del rapporto tra dipendente e datore di lavoro.
Nel caso preso in esame dalla Cassazione, per giustificare il licenziamento è necessaria la presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, nemmeno in via provvisoria. L’abbandono ingiustificato del posto di lavoro, quindi non può costituire causa di licenziamento, a meno che non provochi un grave danno, o il blocco dell’attività produttiva.