Il licenziamento per motivi economici, o licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è l’atto con cui il datore di lavoro interrompe, in modo unilaterale, il rapporto con il dipendente per ragioni che riguardano la riorganizzazione aziendale.
La riforma Fornero del 2012 stabilisce che in caso di licenziamento illegittimo per motivi economici, il datore di lavoro è tenuto a risarcire il dipendente con un indennizzo economico. L’importo dell’indennità versata al lavoratore può andare dalle 15 alle 27 mensilità percepite dal richiedente.
Il reintegro sul posto di lavoro, invece, è previsto solo per i licenziamenti economici avvenuti per motivi discriminatori, ossia nel caso in cui sia stata accertata l’insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento. Ma vediamo cos’è cambiato dopo l’emanazione del Jobs Act.
Con l’entrata in vigore del Jobs Act, varato dal Governo Renzi, per i soggetti assunti a partire da marzo 2015 con contratto a tutele crescenti, in caso di licenziamento illegittimo per motivi economici non è più previsto il reintegro sul posto di lavoro. Una novità accolta con favore da parte di numerose realtà imprenditoriali.
Il datore di lavoro è però obbligato a corrispondere al dipendente un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, con importo pari a due mensilità per ogni anno di servizio prestato dal dipendente, fino a un massimo di 24 mensilità.
In caso di inadempimento del datore di lavoro, ovvero di mancato pagamento dell’indennizzo, il dipendete può procedere nei suoi confronti con gli ordinari rimedi previsti dall’ordinamento giuridico.