La legge stabilisce il divieto di licenziare la lavoratrice madre per tutto il periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il compimento di un anno di età del bambino. Tale divieto opera anche nel caso in cui, al momento del licenziamento, il datore di lavoro non fosse a conoscenza della gravidanza della dipendente.
Durante il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, il datore non può sospendere la lavoratrice dal lavoro, a meno che non vi sia la sospensione dell’attività aziendale o del reparto in cui la dipendente è addetta (sempre che il reparto in questione abbia autonomia funzionale). Non è possibile inoltre collocare la lavoratrice madre in mobilità a seguito di un licenziamento collettivo, ma solo in caso di cessazione dell’attività dell’azienda.
La normativa vigente prevede tuttavia alcune ipotesi in cui è possibile licenziare la lavoratrice madre, ossia in caso di licenziamento per giusta causa o cessazione dell’attività aziendale. Se assunta a tempo determinato, la dipendente può essere licenziata alla scadenza del termine di contratto, o in caso di esito negativo del periodo di prova.
Per quanto riguarda invece le collaboratrici domestiche, il contratto collettivo nazionale vigente prevede il divieto di licenziamento dall’inizio della gravidanza fino alla fine del congedo di maternità, a meno che non si determini la giusta causa di licenziamento.
In caso di licenziamento illegittimo la lavoratrice ha diritto al reintegro sul posto di lavoro e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo di assenza dal lavoro. Il datore di lavoro deve inoltre versare alla dipendente un risarcimento economico il cui importo non può essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione percepite.
Ricordiamo infine che la lavoratrice madre illegittimamente licenziata può esercitare il diritto di opzione, scegliendo quindi fra la reintegra sul posto di lavoro e un’indennità sostitutiva pari a quindici mensilità di retribuzione globale.