Per licenziare un lavoratore devono verificarsi delle situazioni specifiche che possono riguardare sia la condotta dello stesso (giusta causa e giustificato motivo soggettivo), sia l’organizzazione dell’azienda (giustificato motivo oggettivo).
La giusta causa di licenziamento è una nozione non esplicitamente determinata dalla normativa vigente. L’art 2119 del Codice Civile si limita infatti a definire come giusta causa di licenziamento una condotta scorretta del lavoratore, di una gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, nemmeno in via provvisoria.
Secondo la giurisprudenza italiana, la giusta causa di licenziamento può essere rilevata solo se si accerta in modo concreto (e non come fatto astratto) la mancanza commessa dal dipendente.
È bene precisare che il licenziamento per giusta causa non corrisponde a quello per giustificato motivo. Il concetto di giustificato motivo soggettivo fa, infatti, riferimento ad un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del dipendente, ma consente la prosecuzione del rapporto per il periodo di preavviso.
Tra i motivi più frequenti per la giusta causa di licenziamento ricordiamo la violazione del patto di non concorrenza, l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro, la falsa timbratura del cartellino e l’uso scorretto dei permessi per ex legge 104/92. Non possono invece essere considerati come motivi di licenziamento per giusta causa quelli legati al fallimento dell’impresa, incapacità del lavoratore e imperizia tecnica.