Il Jobs Act varato dal Governo Renzi definisce una riforma dell’articolo 18 e una conseguente modifica delle norme previste per il licenziamento dei lavoratori dipendenti. Per i nuovi assunti vigono, infatti, regole diverse da quelle applicate a quanti sono già in possesso di contratto di lavoro a tempo indeterminato, per quanto riguarda la possibilità di reintegro sul posto di lavoro.
Il Jobs Act ha introdotto inoltre, per i neoassunti con contratto a tutele crescenti, l’opportunità di arrivare ad una conciliazione con il datore di lavoro. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le novità e quando si applicano.
Il diritto al reintegro sul posto di lavoro rimane in caso di licenziamento discriminatorio o riconducibile a casi di nullità (gravidanza, matrimonio, diritti legati a maternità e paternità ecc.), nonché per i licenziamenti comunicati in forma orale.
Il dipendente può essere reintegrato sul posto di lavoro anche in caso di licenziamento per motivi disciplinari, a condizione che, in giudizio, si stata dimostrata l’insussistenza del fatto che avrebbe condotto alla cessazione del rapporto di lavoro.
In caso di licenziamento illegittimo per giustificato motivo oggettivo, giustificato motivo soggettivo o giusta causa decade invece il diritto al reintegro, previsto dall’articolo 18, che è stato sostituito da un indennizzo di tipo economico.
Per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ossia avvenuto per ragioni economiche, non è più previsto il reintegro sul posto di lavoro. Il lavoratore ha invece diritto a tornare su proprio posto di lavoro in caso di licenziamento disciplinare, a condizione che la motivazione presentata dall’azienda risulti inesistente. In altre parole il dipendente può essere reintegrato solo se si dimostra che il fatto a lui cointestato non si è in realtà verificato.
Per quanto riguarda la procedura di conciliazione, introdotta dal Jobs Act, è prevista la rinuncia, da parte del lavoratore, ad impugnare il licenziamento, anche se questi avesse già avviato una procedura in tal senso.
Il datore di lavoro offre al dipendente un risarcimento pari a una mensilità per ogni anno di servizio, il cui importo, in ogni caso, deve essere compreso tra due e diciotto mensilità. In caso il dipendente accetti l’offerta il datore di lavoro è tenuto a pagare l’indennità tramite assegno circolare. Dal punto di vista fiscale, l’indennizzo percepito non è soggetto a tassazione IRPEF e non prevede il versamento di contribuzione previdenziale.