Un’azienda può licenziare un dipendente per aver tenuto una condotta illecita (licenziamento disciplinare) solo se la contestazione mossa non è generica. La legge stabilisce infatti che, prima di espellere un dipendente, il datore è tenuto a metterlo al corrente delle ragioni alla base del licenziamento attraverso una lettera in cui devono essere chiaramente specificati i motivi delle recessione dal contratto di lavoro.
In caso il datore di lavoro non rispetti queste direttive, il licenziamento è da considerarsi nullo. Di recente il Tribunale di Milano ha emanato un’ordinanza proprio riguardo ai casi di nullità del licenziamento disciplinare.
Nello specifico, è stato reintegrato sul posto di lavoro il dipendente di una società ferroviaria, accusato di non aver svolto adeguatamente le mansioni assegnate. La contestazione avanzata dall’impresa risultava però troppo generica e non faceva riferimento a inadempimenti specifici o concreti. Accusa che non è stata ritenuta sufficiente a giustificare un licenziamento.
Per licenziare un dipendente a fronte di comportamenti scorretti o inadempimenti agli obblighi contrattuali, l’azienda deve individuare precisamente i giorni in cui si sarebbero verificati tali eventi.
Contestando ad esempio, un comportamento che il dipendente ha tenuto in molteplici occasioni, senza però indicare quali queste siano, l’azienda non consente al lavoratore di difendersi e presentare eventuali giustificazioni o prove contrarie. Il licenziamento è quindi nullo.
Allo stesso modo si parlerà di licenziamento disciplinare nullo se il datore di lavoro accusa il dipendenti di una “serie di atti di insubordinazione”, senza specificare quando, o come, questi sarebbero avvenuti.