Con la sentenza n. 18678 del 4 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha preso in esame la questione delle ripetute assenze per malattia, un problema che interessa molte aziende italiane. Sono molti infatti i dipendenti che si dichiarano malati nei giorni immediatamente precedenti o successivi a giornate non lavorative.
Nel caso di specie, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte territoriale, ritenendo legittimo il licenziamento per malattia di un lavoratore che si era ripetutamente assentato dal posto di lavoro dandosi malato. Un comportamento che il dipendente aveva tenuto nel corso di più anni, con assenze, anche nello stesso mese, che venivano costantemente associate ai giorni di riposo settimanale.
In altre parole, quindi, il soggetto si dichiarava malato nei giorni immediatamente prossimi a giornate di riposo. Ritenendo scorretto questo comportamento, e di conseguenza inadeguata la prestazione lavorativa del dipendente, divenuta pregiudizievole per l’organizzazione aziendale, il datore ha licenziato il lavoratore.
La Suprema Corte ha ricordato inoltre il suo orientamento in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, secondo il quale il controllo del Giudice si limita alla verifica della sussistenza del fatto posto alla base del provvedimento di licenziamento. Questi non può però sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, che si configura come un’espressione della libertà di iniziativa economica (tutelata dall’art. 41 della Costituzione).
La Corte ha chiarito inoltre che è da considerarsi legittimo il licenziamento intimato al dipendente a fronte di un suo scarso rendimento nell’attività lavorativa, a condizione però che si possa provare una violazione della diligente collaborazione che questi è tenuto ad avere nei confronti del datore di lavoro.
Licenziamento per malattia: quando è legittimo
È quindi accertato che la Corte territoriale ha applicato correttamente i principi pervisti per il licenziamento, poiché la malattia del dipendente non ha rilevanza di per sé, ma solo in virtù del fatto che le troppe assenze rendono la prestazione non più utile per l’azienda, incidendo in modo negativo sulla produzione.
Nella fattispecie in esame, inoltre, è stato accertato che tali assenze comportavano scompensi organizzativi di notevole importanza. Il dipendente infatti comunicava la propria assenza all’ultimo momento, mettendo in difficoltà l’impresa che non aveva sufficiente tempo per reperire un sostituto. È bene precisare che tali assenze riguardavano spesso il turno di fine settimana e quello notturno, fattore che portava maggiore difficoltà nel trovare un sostituto.
In conclusione, possiamo affermare che il principio affermato dalla Cassazione consente al datore di lavoro, nell’ambito di un contemperamento di interessi contrapposti (tutela della salute e tutela della produttività), di privilegiare le esigenze organizzative e produttive, a prescindere dal superamento del periodo di comporto.