La legge stabilisce che il dipendente malato non può essere licenziato. Tuttavia, vi sono due casi che prevedono il licenziamento per malattia:
Il codice civile prevede che l’azienda abbia il dovere di conservare il posto di lavoro del dipendente in malattia nei limiti del comporto, ossia l’arco temporale stabilito dalla legge.
L’assenza per malattia può protrarsi per un periodo massimo, stabilito dai contratti collettivi. Oltre tale termine è possibile il licenziamento per malattia.
L’unico eccezione si verifica quando la malattia si è verificata a causa del datore di lavoro, ad esempio se egli non ha garantito un ambiente salubre e privo di rischi.
Per calcolare il comporto è necessario fare riferimento:
La durata del comporto varia in base al lavoro svolto, ad esempio:
Si precisa che il periodo di comporto può essere interrotto per godere delle ferie maturate.
Una volta che il comporto termina, il datore ha il diritto di licenziare il dipendente senza provare l’esistenza di una giusta causa o un motivo.
Vi sono però delle eccezioni, infatti non si può licenziare il lavoratore, anche se è stato superato il comporto, se la malattia è stata provocata o aggravata dalle mansioni o dall’ambiente di lavoro.
Di contro, l’azienda può licenziare il dipendente assente per malattia prima del superamento del comporto, quando l’assenza provoca un notevole danno all’organizzazione del lavoro. È il cosiddetto licenziamento per scarso rendimento.
Il licenziamento per malattia del malato cronico, ossia del dipendente che presta servizio a singhiozzo, è lecito se egli rende un’attività esigua sia per quantità sia per qualità. Di conseguenza diventa quasi un peso per l’azienda. In questo caso quindi il licenziamento è legittimo.