Il licenziamento per giusta causa è dovuto ad un inadempimento contrattuale talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro nemmeno in via provvisoria. La giusta causa si sostanzia, infatti, in una condotta particolarmente manchevole del dipendente, a fronte della quale qualunque altra sanzione non sarebbe sufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro.
In caso di giusta causa di licenziamento il datore di lavoro può recedere dal contratto senza darne preavviso al dipendente (licenziamento in tronco) e, di conseguenza, non è tenuto a corrispondergli l’indennità di mancato preavviso.
Oltre alle inadempienze contrattuali sono motivi di licenziamento per giusta causa anche comportamenti scorretti tali da determinare la fine del rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente (ad esempio minacce al datore di lavoro o ai colleghi, furto di beni aziendali, ecc.)
Trattandosi di una sanzione disciplinare il licenziamento per giusta causa deve obbligatoriamente essere preceduto dalla comunicazione di contestazione di addebito, per consentire al dipendente una adeguata difesa da eventuali accuse infondate.
Se in sede di giudizio viene accertata l’insussistenza dei fatti posti alla base del licenziamento, questo è considerato illegittimo. In tal caso il lavoratore ha diritto alle tutele previste dalla legge.
Le conseguenze del licenziamento illegittimo si distinguono a seconda che l’impresa conti più o meno di quindici dipendenti. Nel primo caso le sanzioni sono stabilite dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Se invece l’impresa ha meno di 15 addetti, il Giudice condanna il datore di lavoro a reintegrare il dipendente entro 3 giorni dalla sentenza, o, in alternativa, a corrispondergli un risarcimento economico, con un importo compreso tra 2,5 e 6 mensilità.