Il licenziamento per giustificato motivo è l’atto con cui il datore di lavoro recede dal contratto a causa di ragioni legate alla riorganizzazione aziendale. Da non confondere con il licenziamento per giusta causa, dovuto a una condotta gravosa da parte del dipendente, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (anche detto per motivazioni economiche) prescinde dal comportamento diligente o meno del lavoratore licenziato.
Perché un datore di lavoro possa licenziare per giustificato motivo oggettivo è necessario che a fronte di una riorganizzazione della produzione, il dipendente licenziato non possa essere reinserito nell’azienda, perché la sua figura professionale non risulta più utile. Se invece si presenta la possibilità di ricollocare il dipendente il datore di lavoro ha l’obbligo di ripescaggio, reimpiegandolo in un altro comparto della sua attività.
Sebbene il lavoratore non possa contestare all’imprenditore la scelta di riorganizzare l’azienda, può impugnare il licenziamento in caso di mancato ripescaggio. Situazione che si verifica, ad esempio, se dopo il licenziamento del dipendente l’azienda assume una nuovo soggetto con le stesse competenze professionali.
La lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve indicare le motivazioni che hanno portato alla fine del rapporto di lavoro, cosicché il dipendete possa eventualmente contestarlo. L’impugnazione deve avvenire entro 60 giorni dalla data di ricezione della lettera o, in caso non vi siano riportati, dal giorno in cui questi riceve la comunicazione contenente i motivi alla base del licenziamento.
Entro questo termine il lavoratore deve mettere al corrente l’imprenditore una della sua volontà di contestare il licenziamento. Nei successivi 180 giorni dovrà poi depositare un ricorso nella cancelleria del Tribunale competente o tentare una conciliazione tramite la direzione provinciale del lavoro.