L’ordinamento giuridico italiano prevede differenti motivazioni che possono esitare in un provvedimento di licenziamento:
– motivi di natura disciplinare
– giusta causa
– giustificato motivo soggettivo
Il licenziamento disciplinare si verifica quando il lavoratore commette un’infrazione grave al regolamento disciplinare o una inadempienza grave verso le proprie mansioni, che non rende ulteriormente proseguibile il rapporto lavorativo tra le parti.
Aspetto fondamentale, qualora sia necessario procedere in tale direzione verso un inadempimento del lavoratore, è l’attuazione puntuale e attenta di quanto previsto dall’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori (Legge numero 300 del 1970). Per poter garantire efficacia all’atto occorre infatti procedere fin dalle prime comunicazioni di contestazione scritte verso il lavoratore, adottando i criteri opportuni per formalizzare quanto contestato.
Prima di procedere con un licenziamento disciplinare occorre infatti rendere il lavoratore edotto di quanto rilevato dal datore sul piano disciplinare, invitandolo a rendere le proprie giustificazioni in forma scritta. Dopo di che, trascorsi almeno cinque giorni, nel caso in queste non siano soddisfacenti, si potrà procedere con il provvedimento.
Il licenziamento per giusta causa si verifica invece quando l’inadempimento del lavoratore è ritenuto talmente grave da non consentire neppure in via provvisoria, la prosecuzione del rapporto di lavoro.
L’alveo normativo del procedimento è dettato dall’articolo 2119 che prevede appunto la possibilità del cosiddetto licenziamento in tronco, ovvero senza preavviso.
Si ha giusta causa quando l’infrazione del lavoratore è talmente grave da non garantire più il rapporto di fiducia con il datore. Infine, terza fattispecie del licenziamento è quella per giustificato motivo, ovvero quanto imprescindibili ragioni di organizzazione del lavoro nell’impresa, rendono di fatto impossibile la tutela di tutti i contratti di lavoro in essere.
Il giustificato motivo è per tale motivo definito come oggettivo. Si verifica in tutti quei casi in cui, indipendentemente dalla volontà del datore, non è possibile proseguire il rapporto di lavoro, ad esempio per cessazione dell’attività dell’impresa, oppure quando il venir meno di un ramo produttivo impedisce la ricollocazione di alcuni dipendenti in altre mansioni.