Entrato in vigore da più di un mese il Jobs Act ha segnato un profondo cambiamento nel mondo del lavoro, introducendo il contratto a tutele crescenti. Il D. Lgs. n. 23 del 4 marzo 2015, primo decreto attuativo del Jobs Act (legge 183/2014), prevede infatti per i nuovi assunto a tempo indeterminato, l’applicazione di tutele crescenti in tema di licenziamento, che saranno modulate in relazione all’anzianità di servizio del dipendente.
Il nuovo contratto di lavoro introdotto dal Jobs Act prevede inoltre l’abolizione della reintegra del dipendente sul posto di lavoro in caso di licenziamento per motivi economici. La possibilità di reintegro viene infatti sostituita da un indennizzo economico il cui importo cresce all’aumentare dell’anzianità di servizio del lavoratore.
Il diritto del dipendente a riavere il proprio posto di lavoro si limita quindi ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifici casi di illegittimo licenziamento disciplinare.
Il contratto a tutele crescenti definito dal Jobs Act si applica ai lavoratori con qualifica di operai, quadri o impiegati assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa.
I dipendenti occupati prima della data di entrata in vigore del decreto sono soggetti all’applicazione del nuovo contratto solo se, in conseguenza ad assunzioni effettuate successivamente al decreto, l’azienda abbia superato la soglia dimensionale indicata nell’art. 18 della legge 300/1970.
Il decreto si applica anche ai datori di lavoro non imprenditori che svolgono attività senza fini di lucro di natura culturale, sindacale, politica o di culto e in caso di conversione di un contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato, avvenuta successivamente all’entrata in vigore del decreto stesso.
Quali solo le sanzioni previste in caso di licenziamento discriminatorio? In caso di licenziamento discriminatorio, il giudice ordina al datore di lavoro di reintegrare il dipendente e lo condanna al risarcimento del danno subito, tramite il pagamento di un’indennità, commisurata all’ultima retribuzione, corrispondente al periodo compreso tra il giorno del licenziamento e quello del reintegro.
In ogni caso l’importo del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell’ultima retribuzione (fa fede la retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR). Il datore di lavoro dovrà inoltre versare al dipendente i contributi previdenziali e assistenziali per il periodo di assenza dal lavoro.
In alternativa al reintegro sul posto di lavoro, il dipendete che ha subito un licenziamento discriminatorio può chiedere un’indennità corrispondente a quindici mensilità dell’ultima retribuzione. È bene precisare che la richiesta dell’indennità determina la fine del rapporto di lavoro e la somma non è soggettata a contribuzione previdenziale. Il regime previsto per il licenziamento discriminatorio è applicato anche in caso di licenziamento orale.