Chi sono i lavoratori domestici? Si definiscono lavoratori domestici tutti i soggetti che lavorano in modo continuativo per far fronte a necessità legate alla vita familiare del datore di lavoro, ad esempio colf, assistenti familiari, baby sitter, governanti, cuochi ecc. Rientrano nella categoria dei lavoratori domestici anche quanti svolgono tali attività presso comunità religiose (conventi, seminari), caserme, comandi militari, e comunità senza fini di lucro come orfanotrofi e ricoveri per anziani.
La disciplina in materia di licenziamento e dimissioni applicata ai lavoratori domestici prevede la cessazione del rapporto di lavoro per volontà di una delle due parti a condizione che sia dato regolare preavviso.
Preavviso di licenziamento lavoratore domestico
In caso di licenziamento, per contratto di lavoro con impegno superiore a 24 ore settimanali il preavviso deve essere di
Se invece il rapporto di lavoro prevede un impegno fino a 24 ore settimanali, il preavviso necessario è di:
In caso di dimissioni, i termini previsti per il preavviso si riducono del 50%.
Nell’eventualità di mancato preavviso da parte del datore di lavoro, il dipendente ha diritto a un’indennità pari alla retribuzione che avrebbe ricevuto durate il periodo di preavviso. In caso di dimissioni, invece, se lavoratore che non eroga prestazioni lavorative durate il periodo di preavviso, l’importo che sarebbe spettato durante in tale periodo gli viene decurtato dalla liquidazione.
Fa tuttavia eccezione la cessazione del rapporto di lavoro per giusta causa, ossia a fronte di gravi mancanze di una delle due parti del contratto, tali da non rendere possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro nemmeno per il periodo di preavviso. In tal caso, infatti, è possibile recede il contratto in tronco e senza corrispondere l’indennità di mancato preavviso.
In caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, sono previste due procedure (l’una alternativa all’altra), come stabilito dalla Riforma del mercato del lavoro del 2012 (Legge 28 giugno 2012, n. 92).
La prima procedura prevede la convalida della cessazione del rapporto da parte del lavoratore presso la Direzione Territoriale del Lavoro o il Centro per l’Impiego competenti per territorio. In alternativa, il dipendente può sottoscrivere una dichiarazione, attestante la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, in calce alla ricevuta della comunicazione di fine rapporto inoltrata all’Inps dal datore di lavoro.
In caso di mancata convalida presso gli enti deputati o di mancata sottoscrizione della ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione, il datore di lavoro ha 30 giorni di tempo (a partire dalla data della cessazione del rapporto) per spedire al lavoratore un invito scritto a presentarsi presso le sedi deputate per sottoscrivere l’atto.
In alternativa il datore può richiedere in forma scritta al dipendente licenziato di sottoscrivere la comunicazione di cessazione trasmessa all’Inps. In entrambi i casi il lavoratore, entro 7 giorni dalla ricezione dell’invito, può decidere di convalidare o meno la risoluzione consensuale.
In caso il lavoratore non accolga l’invito, il contratto di lavoro si intende comunque risolto. Ricordiamo infine che se il datore di lavoro non inoltre l’invito al dipendente entro il temine previsto, il licenziamento è nullo.