Il periodo di comporto è l’arco temporale in cui il dipendente assente per malattia ha diritto a conservare il posto di lavoro, ossia non può essere licenziato. Fanno tuttavia eccezione i licenziamenti per giusta causa, giustificato motivo oggettivo o totale cessazione dell’attività di impresa.
In tutti gli altri casi il licenziamento è ammesso solo al termine del periodo di comporto, a meno che lo stato di malattia non dipenda dalla violazione di misure di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. La durata del comporto può essere definita dai Contratti Collettivi Nazionali o in base alle normative di legge.
È prevista la possibilità per il datore di lavoro di rinunciare al licenziamento. Questi può infatti consentire al dipendente di riprendere l’attività lavorativa nonostante le assenze abbiano portato al superamento del comporto, senza che questo determini la rinuncia al diritto di licenziamento per superamento del periodo di comporto.
Il tutto però solo a condizione che l’intimazione del licenziamento periodo di comporto
dipenda effettivamente dal fatto contestato (Sentenza n.16462/2015 della Cassazione). Se il recesso viene intimato immediatamente, al superamento del comporto, il datore non è tenuto a fornire alcuna prova che il suo recesso dal contratto sia dipeso dalle assenze del dipendente.
Ricade infatti sul lavoratore l’onere di provare che la riammissione sul posto di lavoro rappresenta una tacita manifestazione della volontà del datore di lavoro di rinunciare al diritto di licenziamento.
Nel caso in cui il licenziamento non sia intimato nei giorni immediatamente successivi al superamento del comporto, il datore di lavoro deve dimostrare che la motivazione alla base del recesso era effettivamente l’assenza continuativa del dipendente.
Spetterà a un giudice poi esprimersi in merito alla congruità del tempo intercorso fra il licenziamento e la ripresa dell’attività lavorativa. Valutazione che deve essere condotta tenendo conto delle caratteristiche organizzative e dimensionali dell’impresa.
In merito al recesso per superamento del comporto si sono espressi in agosto i giudici della Corte di Cassazione. Richiamando la sentenza Cass. n. 9032/2000, la Corte ha ribadito che in caso di avvenuto superamento del periodo di comporto, l’accettazione, da parte del datore, della ripresa del dipendente alle attività lavorative non equivale di per sé a una rinuncia al diritto di recesso.
Tale ipotesi non preclude quindi (salvo diversa previsione dei CCNL) l’esercizio di tale diritto, ferma restando la necessità di un nesso causale fra l’intimazione del licenziamento e il superamento del periodo di comporto, indicato come causa di recesso dal contratto.