Il lavoratore dipendente che decide interrompere il rapporto lavorativo deve comunicare, con un dovuto preavviso, questa sua volontà al datore di lavoro, redigendo la cosiddetta lettera di dimissioni.
Vi sono comunque delle dimissioni per le quali non è prevista l’accettazione, in questo caso il loro effetto è prodotto nel momento stesso in cui il datore di lavoro ne viene a conoscenza. Ma entriamo nel merito della questione formalizzando i diversi elementi pertinenti.
Con l’espressione periodo di preavviso si intende il lasso di tempo compreso tra la data di rassegna delle dimissioni e quella di conclusione del contratto, durante il quale il dipendente continua a svolgere la propria attività lavorativa. La durata del preavviso è definita dal contratto collettivo applicato al lavoratore.
In caso di mancato preavviso, il dipendente deve corrispondere al datore di lavoro l’indennità di mancato preavviso dimissioni, per un importo pari alla retribuzione che avrebbe percepito durante il periodo di preavviso non lavorato. Un onere da non sottovalutare e che può risultare economicamente gravoso.
Il dipendente non è tenuto a dare il preavviso dimissioni per quelle rassegnate durante il periodo di prova. Il preavviso non è inoltre necessario in caso di dimissioni per giusta causa, ossia se si verifica una situazione che non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro nemmeno in via provvisoria.
Ricordiamo infine che non sono conteggiati tra i giorni di preavviso delle dimissioni, quelli relativi ad eventuali assenze del lavoratore per malattia, infortunio, maternità o ferie.