Il Jobs Act ha modificato le regole per le dimissioni dei lavoratori dipendenti. Una decisione che ha creato dibattiti in merito al diritto di dimissioni dal lavoro da parte di alcune associazioni sindacali che temono di veder minati i diritti dei lavoratori. Le questioni al centro delle polemiche sarebbero il diritto di ripensamento e i comportamenti concludenti.
Intanto Camera e Senato puntano a rendere la materia il più semplice e razionale possibile. Entrambe le aule, comunque, si sono espresse con parere favorevole sullo schema del decreto legislativo, apportando solo alcune osservazioni. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le modifiche apportate dalla riforma del lavoro in merito alla presentazione della domanda di licenziamento e alla possibilità di ritirare l’istanza.
Lo schema del decreto prevede che le dimissioni possano essere inoltrate esclusivamente per via telematica, pena l’inefficacia della risoluzione del contratto di lavoro. Il soggetto che desidera dimettersi può inviare la comunicazione di dimissioni autonomamente oppure affidarsi a intermediari abilitati, come patronati, sindacati o enti bilaterali.
I moduli per l’invio delle dimissioni on line sono resi disponibili dal Ministero del lavoro, che li trasmette al datore di lavoro e alla Direzione territoriale di competenza. Il dipendente ha la possibilità di revocare le dimissioni nei sette giorni successivi alla comunicazione. Scaduto tale termine, decade il diritto di ripensamento.
Al momento non sono ancora state stabilite le modalità per l’invio della domanda e i criteri da applicare per individuare la data certa di trasmissione. Secondo quanto definito dallo schema del decreto presentato in Parlamento, però, sono esclusi dalla normativa il lavoratori domestici e i soggetti che ricoprono le cosiddette sedi protette.
Per quanto riguarda i comportamenti concludenti, la questione principale è se l’assenza perdurante del dipendente dal posto di lavoro possa essere considerata una dimostrazione della volontà di recesso. In una recente sentenza la Cassazione ha interpretato un simile caso come “licenziamento orale”, e quindi inefficace, ribadendo che l’onere della prova spetta al datore di lavoro.
La proposta presentata dalla Camera, però, va in senso opposto. L’idea sarebbe di confermare per legge che, se il dipendente si assenta dal posto di lavoro per un periodo superiore a sette giorni, senza aver fornito alcuna comunicazione in merito, il contratto è da considerarsi risolto per dimissioni volontarie. Ipotesi che sarebbe possibile anche senza la sottoscrizione del relativo modulo.